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PESTE
Malattia infettiva provocata da un batterio (la
Pasteurella pestis) che è un parassita della pulce dei ratti.
L'incubazione è brevissima, da uno a tre giorni: seguono febbre
altissima con delirio e tre tipi di manifestazioni cliniche, in rapporto
alla virulenza del germe. La più evidente è la peste
bubbonica, se il contagio è avvenuto per via cutanea. In tal
caso si ha l'ingrossamento delle linfoghiandole nella zona dell'inoculazione;
il bubbone (della grandezza di un uovo) suppura nell'arco di una quindicina
di giorni, con la formazione di un ascesso. La mortalità è
di circa il 50%. Se la trasmissione è diretta fra uomo e uomo si
possono avere la peste polmonare e quella setticemica (la
celebre peste nera, per le caratteristiche manifestazioni cutanee).
In questi casi il decorso è brevissimo e quasi sempre mortale.
In ogni caso è sempre la pulce della specie Xenopsylla Cheopis
la portatrice del batterio con cui infetta i ratti, sia del tipo comune
(Rattus Rattus) sia il cosiddetto ratto delle chiaviche (Rattus
Norvegicus), i quali a loro volta sono i "portatori", appestati, della
malattia. Il ciclo fu scoperto nel 1894 in Mongolia dallo svizzero A.
Yersin e autonomamente dal giapponese Kitasato. Da quel momento cominciarono
gli studi per chiarire il meccanismo delle pesti che fin dall'antichità
erano il flagello dell'umanità. Il termine (dal latino peius,
poiché è la "peggior malattia"), usato dai traduttori latini
della Bibbia e delle opere greche, non identifica un'unica malattia, o
comunque quadri clinici omogenei: indica semplicemente una "gravissima
malattia epidemica". Occorre quindi distinguere nettamente fra le "pesti"
che genericamente indicano in letteratura gravi epidemie e la specifica
infezione da Pasteurella pestis. Non fu certo peste da Pasteurella
l'epidemia ateniese del 430-429 a.C., esattamente descritta da Tucidide
e non riferibile ad aspetti "bubbonici" o "setticemici", ma piuttosto
fenomeno importato via mare ed esauritosi nel corso dell'estate. Fra le
ipotesi più accreditate è quella di un'epidemia di tifo
esantematico, aggravata dalle carenze alimentari dovute alla guerra. Ma
si sostiene anche l'ipotesi di un'epidemia influenzale complicata da shock
tossico. Altre epidemie indicate come peste nella storia romana hanno
origini diverse. L'endemia della peste bubbonica dei roditori, localizzata
presso le colonie di roditori della Mongolia, sviluppava infatti epidemie
di peste in Oriente, di cui ci restano efficaci testimonianze nell'annalistica
cinese, mentre possiamo identificare la prima peste bubbonica nell'area
mediterranea con una certa sicurezza nella cosiddetta "peste di Giustiniano",
sviluppatasi nel 542-543. Essa giunse via mare in Egitto da un focolaio
asiatico o forse etiope, portata da una pulce che abbandonava un ratto
o altro roditore malato, e si diffondeva attraverso le goccioline espulse
dal malato a causa di tosse o starnuto. Questa peste fu una delle cause
principali del crollo demografico del VI secolo. La successiva violentissima
epidemia di peste arrivò nel 1347 nei principali porti del Mediterraneo,
raggiunse l'acme nell'estate del 1348 e mieté vittime fino al 1350.
All'origine della diffusione stava certamente la presenza di roditori
malati sulle navi, sempre più numerose per la crescita dei traffici
mercantili, ma anche le conquiste dei tartari in Crimea, quasi sicuramente
seguiti da colonie di ratti. Questa peste (narrata nel Decameron
di Boccaccio) ebbe conseguenze storiche decisive. Si è stimato
che nell'arco di due anni morì un terzo della popolazione europea
e la metà della popolazione italiana, con enormi e durature conseguenze
sociali, economiche e culturali. Rimasta endemic in Europa, la peste riapparve
anche in conseguenza delle migrazioni dei ratti e del passaggio dei grandi
fiumi europei da parte di intere colonie del Rattus Norvegicus.
Particolarmente gravi da un punto di vista socio-economico furono le epidemie
nel Milanese del 1576-1577 (la "peste di S. Carlo") e del 1629-1630 (narrata
da Manzoni); la peste di Londra del 1664-1666; la peste di Mosca del 1771,
in cui morirono più di 50.000 persone; e infine la grande epidemia
del 1894-1900 che, sviluppatasi dalla Cina meridionale, investì
l'India, l'Egitto, il Giappone e in seguito Europa e Stati uniti. Quest'ultima
epidemia permise, anche attraverso un imponente impegno scientifico, di
chiarire il meccanismo infettivo e clinico e di realizzare le misure profilattiche
necessarie grazie alle quali nel corso del XX secolo, malgrado la presenza
di ultimi esiti dell'epidemia di fine Ottocento, il controllo sanitario
internazionale ha impedito nuove diffusioni.
R. Villa
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